LA STAGIONE FEMMINILE IN ITALIA PARTE NEL SEGNO DELLE DOPPIETTE: DEMI VOLLERING E LOTTE KOPECKY DOMINANO LE STRADE BIANCHE, SHOW DI GAIA REALINI E AMANDA SPRATT A MONTIGNOSO. ELEONORA LA BELLA VINCE A CERIALE TRA LE JUNIORES. Testo di Vivian Ghianni - foto G.C. Monti
Marando, lo scriba del Ciclismo
Numerose sono le monografie dedicate a questo nostro sport ma il volume di Marco Marando non è di quelle che parlano di Coppi e della Dama Bianca, L’autore ci racconta un ciclismo da tramandare alle età venture cui arriverà non solo ciò che egli ha raccolto "viva voce" dai protagonisti ma il senso profondo di questo sport splendente di umanesimo come un arazzo. E da questo punto di vista è il primo assoluto nella panoramica dell'editoria italiana, corposo nella trattazione e novellistico nella narrazione condotta in modo sistematico ed esaustivo. Il rosa che c'è nel titolo non è solo il colore delle gare coniugate al femminile ma anche quello dei sentimenti forti che le donne san far correre su quelle loro bici con le ali.
Un giorno, lo scriba del nuovo millennio si è messo a tavolino per drenare il secreto dell'anima delle cicliste che la pelle spreme in forma di sudore attraverso ogni suo poro, ove il sole vi cola a picco la luce di dio. Più che un libro da leggere questo è da vedere, non per via dell'iconografia pur ricca, ma per la narrazione visuale che impregna di sé la tessitura del racconto grazie alla forza allucinatoria che hanno le parole. É questa la parte più bella del racconto di Marco Marando, una favola bella imbevuta delle forme cromatiche del caleidoscopio della vita a pedali, fatta di borracce, volate, fughe, scalate, riti, cronometri, traguardi, altimetrie, protocolli, cerimonie e amore, tanto amore per quel sentimento che chiamiamo ciclismo e che porta con sé quello per la vita.
L'avventura in groppa a "La Bici Rosa" prosegue come romanzo che attraversa lo spazio e il tempo o meglio la geografia dei luoghi e le epopee che li hanno percorsi facendo grande questo sport, divenuto un genere letterario dove si sono profuse le più grandi firme del Novecento da Buzzati, a Vergani, a Piero Chiara. Marando ci riporta a quel clima: mi è sembrato di scorgere Montanelli, seduto in terra con la macchina da scrivere sulle ginocchia (famosa foto-simbolo del giornalismo di frontiera), quando l'autore si china a intervistare con devozione Marianne Vos e m'è parso di veder aleggiare sullo sfondo le ombre dei personaggi che han dato vita ai 'processi alla tappa' di Sergio Zavoli, quando anche la TV era "eroica" come il Tourmalet.
In questa parata di campionesse appare, tra le altre, la figura tosta della toscana Luperini che tracciò pagine di storia sulle vette mitiche del ciclismo-poesia (cinque giri e tre tour), con la levità d'un gabbiano che scala le creste irte fin sulla cima dei marosi più ostili. Poi il racconto scivola pei declivi della nostalgia e allora entrano nel turbinio dei ricordi le biglie e i tappi sulle piste di sabbia, gli autografi del campione, le mitiche voci della radio e poi ancora la prima televisione che trasforma in salotto il tinello di casa dove c'è un posto anche per il vicino. Sembra di udirlo quel vociare di Alfredo Oriani: "Lì sopra si è quasi in bilico, eppure si cessa di esserlo… la bicicletta è una scarpa, un pattino, siete voi stessi, il vostro piede divenuto ruota".
A differenza di qualunque altro romanzo, la lettura di un'opera di ciclismo ti fa entrare in un libro che già parla di te e tu ti ci ritrovi perché è di lì che si vien tutti, da quella letteratura di vita: la fatica di vivere, il raccolto dei campi che deve durare, la virtù della misura, l'individuo moltiplica le ultime forze come i pani e i pesci di Cristo, la generosità che ti coglie in quel giorno di dio che ti farà campione. Marco Marando ci canta, e bene, delle "donne, i cavalieri, l'armi e gli amori" di questo nostro sport. Tutti ci ritroviamo in quelle sue pagine, insieme con esse ripercorriamo un pezzo della nostra storia, che lui intreccia all'arte, alla cultura dei luoghi, ai monti, ai passi, alle valli che hanno visto passare di lì il ciclismo dal vero come un’apparizione… e le ragazze dalla “Bici Rosa” a leggere la corsa con in fronte il sole.
Sto aspettando di essere
intervistato negli studi televisivi di TVRS (Radio Televisione di Recanati), come di blogger di
Ciclomarche. Con me ci sono altri ospiti. Dal vociare in corso, capisco che
quel giovane che mi sta davanti è un ciclista vero. Incuriosito, approfitto di una pausa per
chiedergli se sia un U23. Mi sembra molto giovane.
«No, da poco sono un professionista. Corro per la Vini Fantini Nippo», risponde sciolto come stesse facendo i rulli.
«Ah, sì la conosco!», faccio io con un certo
imbarazzo avendo sempre considerato la squadra abruzzese un "puro"
team dilettantistico, di U23 appunto.
«Allora la Fantini è diventata una società
continental?», provo a rimediare convinto che un ragazzo così potesse correre
al massimo in quella categoria, una specie di terra di mezzo tra i due ciclismi
di razza. E la cosa mi avrebbe sollevato dalla prima gaffe.
«No» fa lui, con lo sguardo che vola lontano come
un eroe del sol levante.
«No, corro per una Professional», abbassa appena gli
occhi, il giusto per non mettermi a disagio. Punto e a capo.
«Ma allora sei un…!», faccio io di soppiatto
cercando di dissimulare con un tono in falsetto la dabbenaggine appena
mostrata.
Lui sorvola e mi racconta che ha vinto due tappe in
un giro professionistico nel nord del Giappone e lo fa con lo spirito di un ciclopellegrino sulla via di
Santiago di Compostela.
Io comincio a traballare ma prima di cascare faccio
in tempo a sentire il finale: «Ho anche vinto la classifica generale; sono
arrivato primo al tour de Hoccaido», dice. Altro punto, anzi stavolta sono due.
A me continua a sembrare eccezionale che uno così
giovane abbia già partecipato da professionista a un lungo giro in una terra
tanto lontana. E invece ci è andato, ha vinto due tappe e pure la generale.
"Veni, vidi, vici"…anzi bici.
Lui è Riccardo Stacchiotti, ciclista di Recanati, che è stato U23 con la Mokador e la Fantini e ora mi sta lì davanti con l'aria filosofica di un apolide del ciclismo, di uno cioè che ovunque sia sembra correre sempre in casa. Un professionista vero, di
classe ed io l'ho intervistato senza neppure accorgermene!
G. Baiocco, maggio 2015